top of page

La falena e la luce

michisabatini

Aggiornamento: 5 giorni fa


copertina: Alen
copertina: Alen

Armando si era trasformato in una falena in una afosa e asfissiante notte del luglio 2020.

Inizialmente il trentanovenne romano aveva provato una sorta di sollievo, poiché l’ininterrotto agitarsi delle ali aveva rinfrescato la sua nuova, flebile e minuscola schiena. Quando si era reso conto di potersi librare in aria, nonostante la goffaggine nei movimenti, aveva realizzato che quello era il cambiamento che segretamente aveva atteso per tutta la vita.

Assistente informatico in una scuola media della periferia di Roma da ormai sedici anni, aveva abitato fin dai tempi dell’università nello stesso monolocale in affitto, vicino al capolinea della metropolitana A. La vita da lui condotta era prettamente – utilizzando un eufemismo – sedentaria e abitudinaria: ogni mattina prendeva la metropolitana alle 7:15, dopo quattro fermate camminava una decina di minuti prima di arrivare a scuola, si sedeva nel minuscolo e buio ufficio che condivideva con l’altro tecnico della scuola, Giovanni, da lui detestato, alle 14 pranzava in fretta e furia con i wurstel comprati al discount e preparati la sera prima, e alle 15:30 faceva ritorno a casa. Si sdraiava sul divano, accendeva la televisione e sceglieva un qualsiasi talk show pregno di inutili discussioni su un qualsiasi tema della giornata, come sottofondo per il suo incontrollato e interminabile scrollare sui social network dal cellulare, senza muovere un muscolo fino all’imbrunire. Quando si rendeva conto che era sopraggiunto il buio, le decisioni da prendere riguardo alla cena erano due: aprire un pacco di patatine formato famiglia e ingurgitarle tutte fino a ricoprirsi il mento e il collo di briciole, oppure ordinare a domicilio un hamburger o qualche altro cibo spazzatura sulle app di delivery. Si addormentava alle 21 e si risvegliava categoricamente intorno a l’una. Si alzava dal divano con fatica, tra bestemmie e imprecazioni cucinava frettolosamente i wurstel di scarsa qualità per il pranzo dell’indomani, e tentava invano di riaddormentarsi. Quando era fortunato, riusciva a chiudere nuovamente gli occhi alle 3, per risvegliarsi meno di tre ore dopo, e dover ricominciare la sua monotona ed estenuante routine.

Durante i suoi quasi otto lustri, Armando non aveva mai coltivato un hobby, una qualche passione specifica, uno sport. Negli ultimi dieci anni non aveva visto un film, letto un libro, preso un aereo o perlomeno un bus per una gita domenicale fuori porta. Non vedeva il centro di Roma da anni ormai, e l’unica uscita settimanale che si concedeva era la visita domenicale all’ospizio dove aveva fatto trasferire la sua anziana madre.

Come è facilmente intuibile dalla lista delle sue abitudini, Armando superava di gran lunga la soglia dell’obesità. Il vezzo che probabilmente aveva perseguito con maggiore costanza nel corso della sua vita era quello del fumo: consumava almeno un pacchetto di Marlboro rosse al giorno, durante i suoi pigri pomeriggi, durante i quali, sdraiato sul divano con le tapparelle abbassate e il conseguente esiguo ricircolo d’aria, si lasciava inondare dalle maree di odio provenienti dai social e dalla televisione.

Aveva osservato i suoi quasi quarant’anni di vita trascorrere passivamente, come se si fosse sempre trovato su quel vecchio divano, senza mai sforzarsi di cambiare canale, una sigaretta dopo l’altra. Dentro si sé era ben consapevole della necessità di un cambiamento positivo nella sua vita, ma la pigrizia e l’arrendevolezza lo avevano sempre immobilizzato in quella ripetitiva situazione.

Non vi è dunque da stupirsi se la prima sensazione provata in seguito alla sua metamorfosi fosse quella di sollievo. Finalmente sembravano scomparsi i dolori alla schiena, l’affannoso respiro, la fastidiosa e costante tosse, l’odio che provava verso il suo ingombrante corpo. Come se non bastasse, ora era persino in grado di volare e si orientava alla perfezione nel buio della stanza.

L’approccio che Armando aveva sempre avuto nei confronti della vita, come si può immaginare, non era mai stato dei più positivi. Aveva sempre trovato qualcosa di cui lamentarsi, qualcuno da criticare o su cui scaricare le colpe per il proprio malessere. Per questo motivo, il senso di gioia che lo aveva colpito in quella notte di luglio non durò a lungo: ben presto lasciò spazio al risentimento e ai mugugni. Cosa avrebbe fatto ora che non era più umano? Non avrebbe più potuto lavorare, né mangiare le ingenti quantità di cibo alle quali era abituato, o impugnare un telefono o una sigaretta, o guardare la televisione. Pensò che non avrebbe neppure potuto fare una semplice passeggiata al parco. Certo, non aveva poggiato piede in un parco negli ultimi vent’anni, né tantomeno ne aveva mai avuto alcuna intenzione, ma ora anche la più remota possibilità di farlo gli era stata negata.

Preso dallo sconforto e oppresso dal turbinio di pensieri negativi che gli ottenebravano la mente, volteggiò verso il soffitto e, ignorando per qualche attimo quell’inspiegabile e improvvisa attrazione nei confronti della flebile luce del lampadario, fuoriuscì dalla finestra, abbandonando per sempre il suo umido e puzzolente appartamento.

Durante l’estate, Armando aveva vagato con il suo inconsueto e leggero corpo sopra la capitale, riposando di giorno e vivendo di notte, privo di una meta precisa, come era sempre stato abituato. Con il tempo aveva imparato ad apprezzare, o perlomeno sopportare la propria condizione, nonostante gli capitasse spesso di ripensare con nostalgia alle abitudini del passato: la totale nullafacenza, la solitudine, lo scrolling, ma soprattutto gli mancava fumare. Il sapore affumicato del tabacco gli mancava a tal punto che una volta aveva persino tentato di inalare il fumo proveniente da un comignolo, con il conseguente rischio di soffocare.

Nelle ultime settimane si era unito a uno sciame di altre falene, con le quali aveva imparato velocemente a comunicare. Naturalmente, non ne sopportava nemmeno una. Fin dai tempi ormai reconditi in cui era stato umano, Armando non aveva mai avuto la pazienza o il desiderio di conoscere nuove persone e farci amicizia. Aveva sempre prediletto la compagnia di sé stesso, e dato che spesso detestava persino ascoltare i propri pensieri, aveva trovato innumerevoli modi per distrarsi nel corso degli anni, attraverso i fragori ininterrotti della televisione o dello smartphone.  

Tuttavia, data la situazione in cui si trovava, soprattutto con l’avvicinarsi dell’autunno, era ben consapevole di non poter sopravvivere a lungo in solitudine, e si trovò perciò costretto ad affidarsi ai suoi simili. Quello sciame in particolare era guidato da una falena più anziana e saggia, soprannominata Prudenza, per via della cautela con la quale si muoveva per evitare rapaci o eventuali esseri umani violenti. Nonostante non sopportasse di dover dipendere dalle decisioni di un leader, Armando si fidava di Prudenza, poiché più volte aveva portato in salvo lui e le altre falene dalle grinfie di ragni tessitori, bambini curiosi che allungavano le mani per afferrarle e predatori piumati.

Ciò che meno sopportava delle altre falene era la loro ossessione nei confronti delle luci. A volte era capitato anche a lui, anche se in forma lieve, di provare attrazione verso le fonti di calore e di luminosità, come se lo sfrigolio luccicante delle lampadine fosse una meravigliosa melodia, il canto delle sirene che attirava i marinai. Tuttavia non aveva mai ceduto alla tentazione di avvicinarvisi, poiché consapevole del pericolo in cui poteva incombere. Aveva visto fin troppe falene fare quella fine per essere tanto sciocco da lasciarsi tentare.

Una sera di inizio settembre, la compagnia di falene giunse in un luogo insolito: all’interno di una delle fitte aree verdi di Roma, si svolgeva una piccola festicciola per celebrare la fine dell’estate. Un gruppo ridotto di giovani si era riunito sotto la luce delle stelle e aveva allestito un gazebo con una tavola imbandita di birre e stuzzichini, circondato da numerose lampadine. La musica proveniente dalle casse portatili sovrastava a malapena il vociare spensierato dei giovani.

Il gruppo di falene ignorò completamente la presenza di esseri umani. Tutta la compagnia, ad eccezione di Prudenza e Armando, sembrava attratta in maniera compulsiva da quelle luci brillanti. Ben presto, una dopo l’altra, volarono verso le lampadine, ignorando i tentativi di rimprovero da parte del loro leader. Erano incantate a tal punto da quei bagliori da non rendersi conto che loro stesse e le loro compagne bruciavano all’istante, non appena vi si posavano sopra. Fu una vera e propria carneficina: in pochi minuti rimasero soltanto Armando e Prudenza, in fondo al gruppo.

Armando, innervosito da quello stupido e inspiegabile comportamento che le aveva portate a una morte rapida e violenta, svolazzò accanto alla saggia falena, e pose il quesito che lo tormentava fin dal primo giorno in cui era avvenuta la sua metamorfosi.

«Ma perché le falene sono così ossessionate dalle luci?».

«Perché sono meravigliose, le hai osservate bene?».

«Già, ma sono anche mortali. Insomma, non si sono mai accorte che le falene che si avvicinano alla luce non tornano più?».

«Alcune sono troppo giovani per averlo mai visto o poterlo comprendere. Altre sì, sanno bene a che fine andranno incontro».

«E nonostante tutto si avvicinano alla luce? Chi sarebbe così stupido da amare qualcosa che lo uccide?».

«Tu non lo faresti? Non moriresti nel nome di qualcosa di tanto bello, tanto amabile?».

«Beh, no grazie, preferisco vivere».

«Umani!» commentò sbuffando Prudenza.

«Ma come… come sai che sono un umano?».

«É così evidente! Dal modo in cui ti muovi, da come ti esprimi, ma soprattutto da come ragioni».

Armando restò in silenzio, sconvolto dalla facilità con cui era stato smascherato.

«Sai, ne ho osservato tanti di umani durante i miei tre lunghi anni di vita. Gli uomini amano la bellezza, la bramano e la rincorrono lungo il corso della loro intera esistenza. E alla fine si lasciano uccidere da ciò che più amano, senza avere il tempo di rendersene conto: coloro che amano la solitudine moriranno soli, coloro che adorano bere, fumare, lasciarsi sovrastare e comandare dai vizi si lasceranno morire per colpa di essi. Alcuni non amano niente, invece. Sono quelli che si accontentano di una vita monotona, schiavi dell’abitudine, privi di passioni o interessi, finché la ripetitività non li ammazza una volta per tutte».

Armando continuò a tacere. Ripensò alla sua vita da umano: il fumo, il cibo spazzatura, la tv spazzatura, lo scrolling sui social, la solitudine, l’odio verso di sé e verso il mondo, l’indolenza; quale di questi vizi a cui tanto amava dedicarsi lo avrebbe ucciso per primo? Egli era la somma di tutti gli uomini descritti da Prudenza, e al contempo nessuno di essi. Era mai stato un uomo? O forse la vita gli era trascorsa davanti agli occhi, tanto celermente da non permettergli di essere considerato tale?

«Vedi com’è bella la luce? Non varrebbe la pena rischiare la vita per tanta bellezza?».

Prudenza lo abbandonò senza attendere una risposta. Agitò le ali e si avvicinò con una calma solenne, quasi cerimoniale, alla luce della lampadina. Quando si posò su di essa, la luce tremolò per un istante, mentre il corpo della vecchia falena si dissolse in uno sfrigolio impercettibile, come un ultimo sospiro svanito nell’aria tiepida della sera.

Sospeso nell’aria, Armando provò per l’ennesima volta, sull’interezza del suo corpicino, quella stravagante sensazione di attrazione nei confronti della luce. Sembrava emanare un calore familiare, accogliente, come quando la mamma lo attendeva sulla soglia di casa a braccia aperte, dopo una noiosa mattinata trascorsa tra i banchi di scuola, come il caloroso conforto di un camino nelle notti d’inverno. Senza che se ne rendesse conto, le ali lo sospinsero in avanti e, man mano che proseguiva un brivido di piacere lo pervase dalle zampe alle antenne.

La luce gli parve meravigliosa, non aveva mai amato niente fino a questo punto in tutta la sua vita. Quando il suo corpo toccò la lampadina, un lampo di luce più intenso illuminò il gazebo, per poi svanire in un istante, avvolgendolo completamente.

Per un attimo, in quell’ultimo, fugace bagliore, Armando ebbe la sensazione di aver vissuto davvero.

 

 

Comments


Michele Sabatini, header
  • Amazon

©2024 by Marta Sabatini. Creato con Wix.com

bottom of page