
Dall’alba dei tempi, tutti gli uomini nella fascia analogica tra gli otto e i sessant’anni che hanno avuto la fortuna di trovare un partner che amano e rispettano, ad un certo punto della propria relazione sentiranno la fatidica domanda: “Mi ameresti lo stesso se fossi un vermino?”. Recenti studi dimostrano che questo sia il quesito più frequente in assoluto, seguito da “Mi vuoi sposare?” e “Mi vedi ingrassata?”, le cui rispettive risposte devono essere rigorosamente e perfettamente opposte.
Dopo circa otto mesi di relazione con Lidia, studentessa ventiduenne bionda di psicologia alla facoltà di Padova, il medesimo quesito venne posto a Gigi. Lui era più grande di lei di due anni, e studiava ingegneria gestionale nella medesima città. Mentre Lidia aveva desiderato di diventare una psicologa dacché ne avesse memoria, Gigi non aveva mai mostrato particolari passioni o interessi riguardo al futuro. Trovatosi di fronte alla scelta universitaria, alla fine del liceo scientifico, aveva optato per la stessa che il padre e lo zio avevano scelto prima di lui, senza pensarci troppo sopra.
Lui e Lidia si erano conosciuti in biblioteca, dopo settimane di sguardi languidi dietro le pagine dei libri e pause alla macchinetta del caffè programmate reciprocamente per essere contemporanee l’una all’altra. La prima a prendere parola era stata lei, da sempre la più determinata dei due, ma il primo a sporgersi per baciarla durante il loro terzo appuntamento, nella maestosa piazza centrale di Padova, era stato lui. Un mese esatto dopo quel lieto pomeriggio invernale era scoppiata la pandemia. Entrambi erano stati costretti a tornare nelle rispettive case dei loro genitori, nei paesini della campagna veneta poco distanti da Padova, rinunciando alla stanzetta da fuori sede per il cui ottenimento avevano tanto faticato, all’inizio del loro percorso accademico. Dopo l’estate, quando la situazione pandemica sembrava essere migliorata, entrambi fecero ritorno in città, ma i costi delle stanze erano raddoppiati.
La mattina della fatidica domanda, i due si trovavano a letto, avvinghiati l’uno all’altra, nella nuova stanza di Gigi. Lui aveva appena aperto gli occhi, e sentiva il caldo e rassicurante respiro della ragazza sul suo collo. Nonostante quella sensazione, in qualunque altra circostanza, avrebbe causato un bel sorriso sul suo volto, quella mattina si rese conto che non si era mai preparato a tale nefasto quesito. “Ovvio che no” sarebbe stata la risposta più razionale, figlia della mentalità che aveva acquisito durante i cinque anni di studi ingegneristici: come si può amare un verme allo stesso modo con cui si ama una persona?
Aveva pochi secondi per parlare: la risposta doveva essere immediata, ma non a tal punto da apparire falsa. Quei due o tre secondi di finta meditazione dovevano necessariamente precedere la risposta perfetta, per renderla credibile e ponderata, ma al contempo ferma e decisa.
«Certo, amore» rispose infine.
Lidia sorrise fieramente, e lo baciò delicatamente sul collo. Nella stanza si percepiva l’atmosfera intima dell’amore autentico, libero da qualsiasi giudizio superficiale. Gigi tirò un sospiro di sollievo, fermamente convinto di aver scampato il pericolo, e ignaro del fatto che si sarebbe trovato di fronte alla gestione della situazione poche settimane dopo.
Nei giorni successivi, mentre lei accusava colpi di tosse e perdita del senso dell’olfatto, lui rifletté a lungo sulla risposta data. Ripensandoci, l’avrebbe davvero amata indipendentemente dalla sua forma: lei lo aveva spesso salvato dalla malinconia esistenziale e dall’ansia per gli esami e per il futuro, lo aveva sempre ascoltato e fatto sentire a casa. Con lei era Gigi a sentirsi un vermino, coccolato e protetto dalla bontà di Lidia.
Accadde una mattina simile a quella in cui lei gli aveva posto la domanda. Ancora assonnato, colpito dalla luce che filtrava dalle tapparelle, Gigi si rese conto che Lidia non dormiva più al suo fianco. O meglio, non era più la Lidia che conosceva. Scostando le candide lenzuola, intravide un minuscolo vermino, lungo quanto il suo mignolo e color pesco, dimenarsi tra le coltri. Non vi era bisogno che nessuno dei due dicesse alcunché.
Lì per lì, Gigi non pensò neppure all’ironia dell’accaduto: si chinò sul letto con le mani chiuse a coppa, e raccolse con prudenza la Lidia vermino. Con l’indice l’accarezzò delicatamente sul minuscolo capo, e le sussurrò tre semplici parole: «Ci sono io».
Nelle settimane successive, Gigi dedicò le sue giornate alla ricerca approfondita di come accudire un vermino. Comperò una piccola teca di vetro e la riempì di sassolini raccolti nel parco e muschio preso in un vivaio. Si occupò di non farle mai mancare acqua e foglie secche per il suo nutrimento, oltre a confidarsi con lei, mangiare in sua compagnia, portarla con sé durante le passeggiate in centro o in biblioteca per studiare.
Lidia, dal suo canto, non si lasciò scoraggiare dall’evento: il virus l’aveva trasformata in un vermino, ma non le aveva impedito di amare ed essere amata. Annuiva con il suo esile e sinuoso corpicino durante le conversazioni con Gigi, e non le mancava più di tanto parlare: era sempre stata una ragazza taciturna, una di quelle che preferisce ascoltare ciò che le persone hanno da dire. Non per niente, voleva diventare una psicologa, sebbene gli studi fossero stati momentaneamente messi in pausa per ovvi motivi.
A volte le piaceva restare distesa dentro la sua teca a osservare il soffitto, con della bella musica in sottofondo, mentre il mondo continuava a girarle attorno, senza che lei muovesse un muscolo. Altre volte, comprensibilmente, si rattristava al pensiero che non avrebbe più potuto correre, o mangiare una pizza con gli amici, o fare l’amore con il suo fidanzato.
Quando finalmente venne messo in circolo il vaccino, Gigi comprese immediatamente il desiderio di Lidia di sottoporsi alla prima dose. Nonostante le numerose voci di corridoio, sui social media e nei dibattiti televisivi, che dubitavano della sua efficienza, Lidia non aveva niente da perdere. Inoltre, in quanto contagiata, faceva parte della categoria più a rischio, e dunque in prima fila per la campagna vaccinale.
Ancora una volta, fu Gigi a prendersi cura di lei, portandola in ospedale nel taschino della sua camicia, e attendendo la fine della procedura. Lui si sarebbe vaccinato due mesi dopo, senza mai contrarre il virus.
Una settimana dopo la prima dose, Lidia si rese conto dei primi benefici: la vista tornò quella di un tempo, il corpo filiforme si allungò di qualche centimetro, e soprattutto fu finalmente in grado di ricominciare a parlare. Dopo un’osservazione approfondita, chiunque avrebbe asserito che persino il colorito del vermino sembrava migliorato, qualunque cosa volesse dire. A Gigi non restò altro che sperare nel miracolo, ossia che potesse avere indietro la bella ragazza che amava.
Nonostante la sottoposizione anche alla seconda dose e le numerose speranze nutrite nei confronti del progresso scientifico, Lidia non tornò mai alla sua forma umana. Grazie all’uso della voce, poté, nonostante tutto, conseguire la sua laurea in psicologia con il massimo dei voti.
Pochi anni dopo, con i risparmi racimolati da Gigi, ormai un ingegnere affermato, e grazie al contributo della pensione di invalidità concessa dallo Stato a tutti i contagiati che non avevano recuperato la forma umana, riuscì ad aprire il suo primo studio psicoterapeutico. L’assenza di arti non le impediva di certo di ascoltare i pazienti, e la passione che la guidava, combinata con le competenze acquisite sul campo, l’aveva resa con il passar del tempo una psicoterapeuta portentosa. Al contrario, la richiesta divenne tanto elevata, anche a causa delle problematiche sorte in seguito alla pandemia, che spesso si trovò costretta persino a rifiutare i nuovi pazienti.
Lidia e Gigi si sposarono esattamente dieci anni dopo la trasformazione della ragazza, con una cerimonia intima e toccante, che rifletteva l’essenza del loro amore: semplice, autentica, e al di là delle convenzioni. Sotto un arco di fiori di campo, Gigi pronunciò il suo "sì" con lo stesso entusiasmo e la stessa devozione del giorno in cui le aveva promesso di amarla, qualunque cosa accadesse. Lidia, racchiusa nel suo terrario decorato con nastri e petali, sembrava quasi brillare di felicità.
I due condussero una lunga e serena esistenza insieme, l’una sempre disposta ad ascoltarlo, l’altro sempre pronto a coccolarla e prendersi cura di lei.
Una mattina del giugno 2065, Gigi, ormai anziano e con la vista sempre più debole, non si accorse che Lidia si era rifugiata sotto il tappeto per riposarsi. Un attimo di distrazione, un rumore sordo: l’aspirapolvere aveva portato via l’amore della sua vita. La cercò in tutta la casa per giorni, prima di realizzare l’errore commesso.
Devastato, Gigi organizzò il suo funerale con la stessa devozione con cui l’aveva amata per anni, e convertì il suo terrario in una graziosa urna funeraria. La raggiunse poco più di un anno dopo, a causa di un infarto fulminante, e, sotto propria richiesta specifica, venne seppellito al suo fianco.
Nel terreno umido della loro tomba, altri vermini cominciarono ad avvicinarsi, formando un piccolo corteo che sembrava danzare attorno alla coppia.
Lui non aveva mai smesso di amare il suo vermino, e ora che entrambi sono cibo per altri vermi, il loro amore echeggia in eterno, custodito nel respiro umido e silenzioso del suolo.
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